Nell’ultimo libro di Antonio Tabucchi Tristano muore una frase dice: “La musica è stata già tutta suonata, a noi non resta che introdurre variazioni”. Da qui il titolo del film. A significare che forse non ci troviamo nel migliore dei mondi possibili, l’attore introduce alcune variazioni, reagisce con la danza, il canto, la poesia alle immagini che parlano di temi caldi come la perdita del lavoro. Le fabbriche dismesse, la crisi industriale, la cassa integrazione, i centri di detenzione per extracomunitari, le giornate del G8 di Genova, alternate con altre immagini tratte dal film di Dreyer e Godard. Un collage di testi di scrittori, poeti e musicisti, di articoli di giornale in un mondo di immagini dove la “musica” è già stata tutta suonata. Resta soltanto la possibilità di introdurre variazioni. Armando Ceste
Insieme agli attori teatrali Marco Alotto e Beppe Rosso, Armando Ceste mette in scena un collage costituito dalla musica dei 99 Posse, da testi di scrittori quali Cesare Pavese (Lavorare stanca) e Alvaro Mutis, e di poeti quali Rilke ed Erri De Luca, da articoli di giornale che parlano della crisi Fiat e di eventi che possiedono un’importanza politica e sindacale. Il film Variazioni è nato inizialmente come performance teatrale che è andata in scena presso il circolo Arci Amantes di Torino nell'aprile del 2004, dove Marco Alotto ha posto se stesso di fronte al proiettore, offrendo il suo corpo come schermo sul quale venivano proiettate immagini in movimento curate da Ceste. Il film è stato proiettato in anteprima in occasione del XXII Torino Film Festival il 14 novembre presso il Cinema Romano come opera fuori concorso nella Sezione Doc 2004.
Questo film apre l'antologia critica che Rosa Di Lella ha curato per la sua tesi di laurea La resistenza del cinema. L'opera di Armando Ceste; è uno dei capitoli decisamente più interessanti anche perché l'incontro tra la studentessa e il regista avviene proprio nel momento che intercorre tra la proiezione del Torino Film Festival e la produzione di Porca Miseria. Un periodo di nuovo ripensamento e di rielaborazione soprattutto dopo il grande lavoro di ricerca compiuto insieme a Marco Revelli e Beppe Rosso in Fiatamlet. Un momento in cui trovare forma e bellezza nel flusso di immagini sempre più invadenti, ma anche tutto il percorso visivo dell'autore. Un momento, a partire dallo spettacolo Variazioni, in cui confrontarsi con nuovi e vecchi linguaggi: la documentazione video del percorso teatrale di Beppe Rosso da Fantasmi d'Acciaio alla Trilogia dell'invisibilità, Seppellitemi in piedi (2002), Anime Schiave (2004) e Senza (2006), il disegno, la pittura e la rielaborazione delle immagini d'archivio attraverso il progetto Terroristen al lavoro grafico con un forte omaggio alle avanguardie storiche sempre per Fantasmi d'acciaio.
Il progetto per il documentario Mai Tardi: la Resistenza in Val di Susa, era stato fortemente voluto da Armando Ceste in occasione del Cinquantesimo anniversario della Resistenza. Girato nella primavera del 1995 (una produzione Index di Torino), grazie alla disponibilità dell’amico Pier Milanese e ai tanti collaboratori che gratuitamente avevano messo a disposizione le loro professionalità. A oggi il filmato rimane una preziosa testimonianza con interviste ad alcuni protagonisti della storia partigiana, uomini e donne che a distanza di anni non ci sono più. Cinquantasei minuti di racconto incalzante, primi piani, camera fissa e immagini di repertorio. Venne presentato al cinema di Condove nell’aprile del 1996 e a seguire in altri comuni sempre in collaborazione con l’ANPI. Fu in una di queste occasioni, presso il comune di Mompantero (fra gli intervenuti anche Carla Gobetti), che ci si rese conto quanto il pubblico presente fosse di età piuttosto âgé. La mattina dopo ricevetti una telefonata da Armando il quale durante il viaggio di ritorno aveva chiacchierato con Carla e commentando la scarsa presenza dei giovani avevano ipotizzato la possibilità di trovare strumenti nuovi per avvicinarli. Entrambi avevano pensato ad uno spazio come Cinema Giovani di Torino. Il passo successivo fu quello di parlarne con Bruno Carli, il partigiano che aveva seguito tutto il progetto di Mai Tardi. Bruno, infaticabile e sempre pieno di entusiasmo cominciò subito a muoversi e costruire una rete di collaborazioni. La “Memoria Storica” era garantita e coinvolta, poi fu la volta di alcuni appassionati cinefili (Gruppo 33), che avevano di fatto salvato il cinema comunale destinato a diventare l’ennesimo supermercato. Ma la valle di Susa aveva anche una forte sensibilità ambientale e inevitabilmente fu coinvolto il Comitato Habitat.
Armando, che fu il primo “direttore artistico” disegnò anche il logo del festival, scrisse: UNKATAHE logotipo del Valusa Filmfest (trasformato in un mezzo animale e mezzo cinema) è una divinità degli indiani del Nord America, che protegge dai cattivi spiriti del male. Un simbolo con origini pellerossa per meglio rappresentare gli abitanti della valle, ben decisi a non finire come gli Indiani sconfitti e relegati in riserve. Il Valsusa Filmfest vuol far conoscere, con sguardi diversi, la realtà quotidiana della valle, e come le nuove generazioni intendono raccontare con la cinepresa fatti non solo del nostro tempo ma anche della nostra storia. Una rassegna che metta in luce e valorizzi lo straordinario patrimonio collettivo della memoria storica attraverso il recupero di quella orale, che ancora esiste in molte famiglie. Una rassegna che parli di rispetto dell’ambiente, di difesa del proprio territorio, che sia di stimolo nel cogliere immagini di una valle inedita.
Fu sempre Armando, soprattutto per le prime edizioni, a coinvolgere l’Archivio Nazionale Cinematografico della Resistenza, l’Archivio Audiovisivo del Movimento Operaio e Democratico e ovviamente il Centro Studi Piero Gobetti che fu fin da subito presente. Armando partecipò anche alla scrittura del manifesto di fondazione e presentazione di un festival che non è mai stato uno spazio glamour, con tappeti rossi, ma sempre un festival molto impegnato sui temi sociali.
L’ultima volta che parlai con Armando al telefono fu pochi giorni prima che morisse, avevamo proiettato il 26 marzo del 2009 al festival il suo Movimento, quattro minuti di riflessione su Lampedusa, sulle morti in mare. Il filo di voce che ormai aveva l’ha usato per raccomandarsi: devi dire che i dati che si leggono sui titoli di coda, sono superati, ora sono molti di più i morti. Il mediterraneo è un cimitero. Devi dirlo. Faceva sua la frase di Jean-Luc Godard, per me oggi è più facile fare un film che vivere la vita che vorrei vivere. Se potessi vivere la vita che credo avere il diritto di vivere, penso che non farei dei film o dell’arte.
Chiara Sasso
Ascanio Celestini, attore di teatro e regista di cinema, legge e interpreta una lettera scritta il 16 marzo 1974 da Fausto, operaio in una grande fabbrica, a sua madre. La lettera è pubblicata in Fabbrica. Racconto teatrale in forma di lettera di Ascanio Celestini edito da Donzelli nel 2003. La lettera racconta di Marisa, anziana operaia prossima alla pensione che ha passato tutta la sua vita a ripetere lo stesso lavoro, lo stesso gesto, rovinandosi per sempre le belle mani che amava tanto. Armando Ceste intreccia le parole di Celestini con interviste condotte da Beppe Rosso a tre giovani operaie davanti ai cancelli della Fiat Mirafiori intorno all’ambiente di lavoro in fabbrica all'inizio del XXI secolo. Tra le immagini d'archivio utilizzate i materiali del Collettivo Cinema Militante di Torino, I compagni di Mario Monicelli (1963), Tutto era Fiat di Mimmo Calopresti (1999) e la riproduzione de la Vergine dell'Annunciazione di Antonello da Messina, conservata presso l'Alte Pinakothek di Monaco. Il film è stato proiettato in anteprima alla VI edizione di Cinemambiente del 2003 nella sezione Panorama.
In questi anni ho cercato di lavorare su quello che è l'oralità attorno alla questione fabbrica. La prima cosa che ho cercato era se c'era una letteratura orale e quindi se esisteva una leggenda della fabbrica, se esisteva una fiaba anche della fabbrica. Ovviamente questo non c'è e mi sono trovato tante persone che avevano due situazioni, spesso entrambe vivevano nella stessa persona; una che è l'impossibilità di raccontare una storia, l'accadimento della fabbrica, e quindi queste persone che hanno avuto un apprendimento del lavoro, quasi sempre attraverso lo sguardo, gli hanno detto guarda e impara, e oggi del loro lavoro hanno una memoria visiva, quello che hanno guardato, e una memoria fisica, cioè quello che hanno imparato fisicamente, ma non una memoria verbale, per cui non sanno dire quello che facevano. Se lo guardano davanti agli occhi, se lo sentono addosso fisicamente, ma poi non lo sanno dire a parole, quindi fanno una fatica enorme per raccontarlo e la cosa che fanno è muovere le braccia, alcuni si alzano proprio, oppure si forniscono di un linguaggio che è tutto “da qui a lì”, oppure “da lassù a quaggiù”, “grande come una macchina”, “grande come una palestra”, ecc... quindi cercano di dimostrare fisicamente e visivamente quello che a parole quasi non riescono a raccontare. Ascanio Celestini in Marisa e le altre
La parte legata ad Ascanio Celestini è nata durante il Festival delle Colline Torinesi quando il suo testo Le nozze di Antigone, interpretato da Veronica Cruciani, ricevette il Premio Oddone Cappellino; mentre le interviste legate alle operaie Fiat sono nate durante il progetto Senza FIATo? a cui hanno aderito molti registi torinesi indipendenti. Queste interviste le abbiamo realizzate davanti alla Fiat con Adonella Marena, Giacomo Ferrante e Luca Pastore con cui c'è stata un'appendice legata al sindacato, in particolare alla Fiom. Le riprese con Ascanio sono state effettuate a Racconigi durante l'allestimento dello spettacolo Fabbrica, andato in scena il 14 giugno 2003. Armando Ceste
La polizia protesta: quei filmati
risultano montati alla rovescia,
a metterli nell'ordine corretto
si vedono le teste, i corpi, gli arti
colpire i manganelli con violenza
dal basso verso l'alto
e il sangue che era sparso già da prima
rientrare al posto suo nel comunista.
Si vede pure un cranio che da terra
si tuffa a capofitto contro il calcio
del funzionario preso in contropiede.
Viceversa di Erri De Luca
Tra la fine di luglio e l’agosto 2001, il quotidiano «il manifesto», in seguito ai fatti drammatici delle manifestazioni antagoniste al G8 di Genova (19 – 22 luglio 2001), pubblica le “filastrocche” dello scrittore Erri De Luca. Questi testi hanno suggerito ad Amando Ceste in fase di montaggio la scelta delle immagini, per riflettere da lontano su quell’evento attraverso le parole dell’amico ed ex compagno di Lotta Continua. Il grande successo che Erri De Luca ha ottenuto soprattutto in Francia e che l’ha portato anche ad essere giurato al Festival di Cannes nel 2003, ha permesso a questo cortometraggio di avere alcuni passaggi televisivi e la distribuzione attraverso un cofanetto libro + dvd. Il libro di De Luca è Tre cavalli (Trois chevaux) pubblicato da Gallimard, mentre il film di Ceste è stato inserito come contenuto speciale del documentario dedicato allo scrittore italiano a mi-mots realizzato da Robert Bober e distribuito dalla mk2. Il film è stato proiettato in anteprima in occasione del XIX Torino Film Festival, nell'ambito della sezione Sopralluoghi Italiani. Il film è dedicato a Carlo Giuliani.
Cercavo un linguaggio alto, diverso da quello massmediologico della cronaca dei giornali e delle tv che aveva invaso i nostri occhi, cuori e cervelli in quei giorni del dopo Genova. Leggendo le filastrocche di Erri De Luca mi sono emozionato e riconosciuto in un linguaggio poetico, senz’altro di parte, ma che fa meditare. Armando Ceste
Gli agenti e io domandiamo il giudizio
dell'aritmetica.
In proposito a Genova gridavano:
”Abbiamo vinto noi, uno di voi
[di meno”.
Non c'è dubbio.
Due giorni dopo centomila nuovi
ingombravano piazze, stanati
[da quel sangue.
Gli agenti puntano sul risultato
[di una sottrazione,
io credo nella moltiplicazione.
L'aritmetica, una signora svizzera
[contabile,
non sa a chi dare i resti e la ragione.
Aritmetica di Erri De Luca
Questo cortometraggio è sicuramente uno dei film più interessanti realizzati da Ceste per capire il suo personale lavoro sulla memoria delle immagini. Il cinema è documentario e finzione, - dichiara Armando Ceste - ma il rapporto non è più corretto, c’è un 90 per cento di finzione e un 10 per cento di documentario, mentre quello giusto sarebbe 50 e 50. La verità è che oggi non facciamo il cinema che dovremmo fare, ma del resto non facciamo neppure la vita che dovremmo fare, altrimenti non faremmo film. Un’anziana donna tibetana e Jean-Luc Godard parlano di sé e delle loro vicende. Un film sulla memoria personale, immagini di un passato autobiografico. Un passato che non è morto, anzi non è neanche passato. Una memoria di emozioni viste attraverso altre memorie di emozioni. Ogni storia - ogni vita - ha un inizio, un centro e una fine, anche se non necessariamente in quest’ordine. L'autore intreccia il proprio materiale d'archivio con le immagini e le parole di un'intervista Jean-Luc Godard che ha ispirato anche il titolo con il suo film Due o tre cose che so di lei (Deux ou trois choses que je sais d’elle, 1966); le sequenze del Collettivo Cinema Militante che documentano la lotta per la casa nelle periferie torinesi negli anni '70, immagini del giovane Ernesto Che Guevara e del suo cadavere, insieme alla testimonianza di una vecchia donna tibetana ripresa dal regista a metà degli anni '80 durante un viaggio in Nepal. Il film, montato da Ernaldo Data e con la fotografia di Claudio Meloni, è stato proiettato in anteprima al XIII Festival Internazionale Cinema Giovani di Torino del 1994 nella Concorso Spazio Italia dove ha ricevuto il secondo premio; la giuria composta da Fabrizio Grosoli, Carmelo Marabello e Isabella Ciarchi diede la seguente motivazione: Per la capacità documentaria di restituire nella finzione del montaggio la verità 24 volte al secondo. Il film fu selezionato nell'ambito di cinéma tout écran. Rencontres Internationales du Film in Svizzera a Ginevra (23 – 27 agosto 1995).
Il film di Godard ha rappresentato un punto di svolta nella sua filmografia; è la prima pellicola in cui l’elemento narrativo e quello non narrativo confliggono in maniera decisiva l’uno con l’altro. Il lei del titolo fa riferimento alla città di Parigi. Il film, interpretato da Marina Vlady, racconta con estrema intensità e forza quel particolare momento storico. Il regista francese è un vero e proprio file rouge nell’opera di Armando Ceste, che qui riprende il pensiero e le immagini di Godard dimostrando come il regista francese sia stato e sia ancora una delle menti più illuminanti della nostra contemporaneità. Steve Della Casa, La 25a Ora, La 7, 2005.
Nulla di quanto appartiene al film di Ceste è stato girato oggi eppure tutto è così straordinariamente presente. Bambini a una mensa. Immagini di movimento operaio. Jean-Luc Godard in corpo e voce. Fotografie di Che Guevara e le immagini del suo cadavere. Un’anziana donna tibetana. “Code” di pellicola e i colori indefiniti della memoria. Ceste lavora sulla memoria e sull’emozione. Da anni. Elabora materiali di un passato che non è morto, anzi non è neanche passato (Ceste). E con Due o tre cose annulla i confini tra realtà e finzione, penetra quella linea sotterranea che tocca l’attimo in cui si incontrano godardianamente il cinquanta per cento di finzione e il cinquanta per cento di documentario. Con Due o tre cose (che so di:) Ceste sovrappone testi, li fa incontrare, li ri-guarda e intervenendo su di essi mentalmente li ri-filma dopo averli già filmati un tempo oppure cerca in memorie altrui fissate su pellicola o video. Le immagini perdono la loro funzione d’archivio, testimoniano le incertezze del fine secolo, sono corpi del dolore, fisicamente presenti in un racconto naturalmente spezzato.
Giuseppe Gariazzo, «Cineforum», n. 12/340, dicembre 1994.
All'inizio degli anni '80 Armando Ceste ricomincia a utilizzare il mezzo audiovisivo, che è cambiato nel linguaggio e nella tecnologia rispetto al periodo del Collettivo Cinema Militante di Torino. Questa esperienza, molto vicina all'estetica dei videoclip di quel periodo, viene condivisa con la sua compagna Petra Probst e il primo cortometraggio è I still have my hands (1983) un video cartoon elettromagnetico con la musica di Meredith Monk. Il film venne proiettato in una personale dedicata all'autore al Movie Club nei primi giorni di marzo del 1984; il comunicato stampa di quell'iniziativa riportava queste parole: In 15 anni (tanti intercorrono tra La lezione e I still have my hands), ovviamente, riferimenti politici e culturali si sono evoluti o modificati, ma una ricerca formale ed un'attenzione per il patrimonio storico dell'immagine in movimento (cinema e video) costituiscono una possibile griglia interpretativa, un minimo comune denominatore. Del resto, il video risulta essere un punto d'approdo obbligato per il suo lavoro: proprio perché il nervoso condensato d'immagini che lo caratterizza da tempo trova la sua giusta collocazione nella “spremuta visiva” dei promovideo.
Il film successivo di questo periodo è The gurling stream sings a bumper harvest song (1984) scritto e diretto da Petra Probst insieme a Ceste. Il film, che conserva brani della New Wave tedesca uniti alla musica popolare cinese, fu presentato in anteprima al secondo Festival Internazionale Cinema Giovani di Torino del 1984 nella sezione Spazio Aperto. Le immagini e i segni che esistono si mescolano e confondono con altri fatti da artisti “spray”. Su questa veloce “spremuta visiva” intervengono altri segni meccanici ed elettronici. Petra Probst
Sempre nel 1984 Ceste firma, con la fotografia di Petra Probst, Three bafut songs ambientato negli stessi spazi del colorificio in rovina rianimato da Mazz Art già protagonista in Bagetto/Mazz-Art. Del 1985 è Il rock mi ha salvato la vita con le musiche di Jerry Lee Lewis e Little Richard. Nel film si alternano sequenze in bianco e nero girate nel 1973 dal Collettivo Cinema Militante davanti ai cancelli della Fiat Mirafiori a sequenze a colori del 1985 che riprendono una ragazza (Petra Probst) in Piazza Vittorio Veneto a Torino invasa dalle giostre nei giorni del carnevale. Al termine di questo girovagare, al fondo della piazza dopo gli ultimi baracconi del luna park, la protagonista incontrerà un suo vecchio amico (Donato D’Ambrosio). In questo lavoro, ispirato a una celebre frase di Wim Wenders, lo sguardo si fa più che mai strabico tra passato e presente. Ritroveremo Donato D'Ambrosio in altri due film di Armando Ceste: Donato (1987) e Morire d'amore (1988).
Il Collettivo Cinema Militante di Torino (CCM) nasce nel contesto del '68, iniziato in città nel novembre del 1967 con l'occupazione di Palazzo Campana, dall'esperienza della rivista «Ombre Rosse» e dal modello cinematografico Scioperi a Torino di Carla e Paolo Gobetti (1962), primo film a parlare dell'operaio-massa in seguito agli scontri di Piazza Statuto. Nel CCM di Torino hanno lavorato insegnanti, operai, studenti, operatori visivi, interessati a un possibile uso diverso del cinema. Tra le produzioni più importanti: Lotte alla Rhodiatoce (1968/69), La fabbrica aperta (come gli operai cinesi hanno preso il potere) (1970/71) con le riprese di Franco Platania, Mirafiori '73: l'occupazione della Fiat (1973), La Resistenza in Val di Susa - Socialismo e antifascismo / I ribelli (1973), Lotta di popolo in Cile (riprese dello spettacolo di Dario Fo e Franca Rame) (1973) e L'Abicì della guerra (1974). Attualmente la maggior parte dei materiali del CCM di Torino sono conservati presso l'Archivio Armando Ceste che si è costituito nel 2009 dopo la scomparsa dell'autore. Il Collettivo ha visto alternarsi nel corso degli anni della sua attività: Enrico Bosio, Paola Casorati, Armando Ceste, Mauro Chessa, Toni Ferrari, Andrea Fuhrmann, Valerio Grosoli, Paolo Gobetti, Daniele Jalla, Mario Maggiorotti, Franca Manuele, Osvaldo Marini, Angelo Marzi, Ernest Meyer, Paola Olivetti, Franco Platania, Marcella Pepe, Maurizio Prinetti, Manlio Regaldo, Gigi Ricchetto, Renato Solmi, Sergio Toffetti e Gianfranco Torri. Tra gli altri il CCM di Torino ha collaborato, oltre ad una rete di persone che hanno promosso la diffusione dei film, soprattutto nelle scuole, anche con lo storico Marco Revelli, con il regista Antonello Branca e i critici Goffredo Fofi e Gianni Volpi. Per la bibliografia fondamentale il testo Retrospettiva "Spazio Aperto" Collettivo Cinema Militante Torino: 1968 / 1975 - 2° Festival Internazionale Cinema Giovani, a cura di Armando Ceste, Stefano Della Casa, Franca Manuele e Gianfranco Torri, Torino, 1984.
Credo che sia giusto parlare di un cortocircuito combinato dalla passione per il New American Cinema e per l’impegno politico che cresceva con le prime occupazioni, come nel ’67 a Palazzo Campana. I miei primi lavori furono proiettati nel 1968 durante il Festival del Cinema Indipendente Italiano all’Unione Culturale di Torino. Era la prima opportunità di mostrare i lavori su grande schermo. In questa occasione si verificò la prima spaccatura tra il “cinema degli artisti” e il “cinema politico”, guidata da Renato Ferraro, che ci spingeva ad abbandonare la sala per impegnarci in azioni di protesta come già accaduto a Pesaro, Venezia e Cannes. Non dimentichiamo una nostra esperienza breve ma politicamente importante come quella dei Cinegiornali liberi di Zavattini, che in qualche modo allargava questa dicotomia artepolitica. Ricordo le persone che costituivano la redazione torinese: io, Nino Ferrero, Tonino De Bernardi, Renato Dogliani, Paolo Bertetto, Gabriele Oriani, Pia Epremian, Sergio Sarri, Emanuele Contazzo, Mario Ferrero. Girammo alcuni lavori come Scioperi unitari alla Fiat e una mia opera su Porta Palazzo. Questa era una delle prime esperienze militanti, diversa dal tentativo di Renato Ferraro di portare il cinema militante al Centro Sperimentale di Roma. Dopo questa esperienza iniziai a lavorare in una struttura abbastanza informale dove c’erano insegnanti, operai e studenti. I luoghi della lotta politica, la fabbrica, l’università, le case occupate, erano gli scenari, i set ideali e obbligati di quel cinema che si chiamò militante e a Torino nella prima metà degli anni Settanta si organizzò in un collettivo. Il CCM si proponeva il compito di diffondere, producendo e distribuendo (rifiutando ogni utilizzazione commerciale o puramente culturale) a livello di base e in situazioni di lotta, materiale cinematografico sui temi dello scontro di classe in Italia e all’estero. Era in collegamento con altri gruppi di cinema militante come gli États-Généraux du Cinéma in Francia e i Newsreel negli Stati Uniti. Armando Ceste in Torino Città del Cinema, Editrice Il Castoro, Milano 2001.
Armando Ceste ha sempre avuto una grande passione per il cinema e in particolare per Jean-Luc Godard, autore simbolo della Nouvelle Vague, che continua ancora oggi a sperimentare e riflettere sul linguaggio audiovisivo e sulla contemporaneità. Più di una volta Ceste ha citato nelle sue opere Godard e Anna Karina, in particolare la sequenza di Vivre sa vie (Questa è la mia vita, 1962) in cui l’attrice va al cinema a vedere il capolavoro di Carl Theodor Dreyer La passion de Jeanne d'Arc (La passione di Giovanna D’Arco, 1928); questa sequenza costituisce anche il perno narrativo e visivo del video-spettacolo Variazioni (2004). Il film viene realizzato in occasione della rassegna dedicata all'attrice, Les Annés Karina, curata dal Museo Nazionale del Cinema che ha avuto luogo presso il Cinema Massimo di Torino tra il 29 maggio e il 3 giugno 1996. Il documentario, prodotto dalla Zenit Arti Audiovisive e montato da Marco Duretti, venne proiettato in anteprima venerdì 31 Maggio alla presenza dell'attrice. Nei mesi successivi sono state organizzate altre proiezioni, tra cui è importante segnalare quella di Bologna il 30 luglio nell'ambito della rassegna curata dalla Cineteca del Comune di Bologna Sotto le Stelle del Cinema. Star al femminile, in Francia a Nizza nell'ambito della IV edizione di rencontres Cinéma & Vidéo al XIV Festival Internazionale Cinema Giovani di Torino nella sezione Proposte.
Anna Karina ha iniziato la sua carriera d’attrice all’età di quattordici anni a Copenhagen, dove è nata. Arrivata a Parigi a diciassette anni, diventa presto l’interprete preferita di Jean-Luc Godard (che sposerà poco tempo dopo) e di altri giovani autori della Nouvelle Vague. Ripercorrere la vita di Anna Karina (“questo nome me l’ha dato Coco Chanel, che quando sentì che mi chiamavo Hanne Karine Bayer decise subito che non andava e stabilì: Anna Karina”) è un ritornare alla Parigi ancora coinvolta nella guerra d’Algeria, agli incontri casuali, nei caffè di Saint Germain, con personaggi famosi, alle lunghe passeggiate nel boulevard, ai primi lavori come indossatrice e fotomodella. Poi il telegramma di Jean-Luc Godard, che l’aveva vista in una pubblicità di saponette e le offriva la parte principale del suo secondo film: Le petit soldat. E sul set quel bigliettino, “je vous aime", e soprattutto un appuntamento a mezzanotte in un caffè... L’inizio di una nuova vita. Con Godard ha girato negli anni seguenti titoli significativi come: Vivre sa vie, Alphaville, Une femme est une femme, Pierrot le fou, Bande à part, Made in USA. Il suo volto, i personaggi che lei ha interpretato nella sua lunga carriera di attrice, sono ormai parte della storia del cinema. Anna Karina è stata l’icona della Nouvelle Vague, il volto fatto di bianchi e neri, lacrime e sorrisi, il primo piano degli anni ‘60. Non è che oggi Anna Karina viva solo di ricordi, ma inevitabilmente tutto la riporta a quel periodo, un’epoca d’oro, una stagione che non ci sarà più, che la vide non solamente interprete, ma ispiratrice e protagonista in prima persona della nascita del cinema moderno. Armando Ceste
Torino, giugno 1999: un attore, Beppe Rosso, mette in scena uno spettacolo teatrale nel Centro Sociale Occupato Askatasuna per contribuire al ripristino degli strumenti indispensabili allo svolgimento delle attività culturali. Un mese prima: la “perquisizione” delle forze dell’ordine, durante la quale il Centro fu completamente distrutto, il 1° maggio 1999. Lo spettacolo diventa il pretesto per raccontare quella giornata di guerra sul fronte urbano, una città divisa dal conflitto nella ex Jugoslavia. Una giornata di assurda intolleranza, vittima di una totale disinformazione, ricostruita attraverso le testimonianze dei principali protagonisti di quel 1° maggio. Beppe Rosso, smessi i panni dell’attore, scende dal palcoscenico, chiede, ascolta, si sposta, cammina - come i personaggi del suo spettacolo “Camminanti” - e, come loro s’interrogano sull’intolleranza razziale, lui s’interroga sui perché di tanta violenza contro il Centro Sociale Askatasuna. Tante domande e risposte non solo per ricercare le dinamiche e i motivi che hanno generato questo primo maggio di guerra, ma per riflettere su quali basi potrà riprendere, a partire dai fatti avvenuti e dalle responsabilità oggettive, un dialogo e un confronto tra due parti di società divise, in modo drammatico e violento, tra loro. Armando Ceste nel pressbook del film.
Il film è stato presentato in anteprima al XVII Torino Film Festival venerdì 26 novembre 1999 presso la sala 2 del Cinema Reposi, sezione Sopralluoghi Italiani. Nel titolo Rosso/Askatasuna, il rosso non sta, come si pensa o come i giornali hanno scritto, per comunismo, rivoluzione, sangue, ecc. Rosso è il cognome di Beppe Rosso. Chiaramente abbiamo giocato su questo: se si fosse chiamato Giuseppe Verdi, non l'avremmo scritto; comunque la cosa è divertente. Che il film, come dicono i giornali, sia di parte mi sta bene, anche perché siamo andati solo da una parte; se io per esempio faccio un film sui campi Rom sono dalla parte dei Rom, non devo certo sentire la testimonianza del questore. Armando Ceste intervistato da L. Monti, Noi non scordiamo in «Numero Zero» n. 8, 1999.
Alla fine degli anni Sessanta, il Collettivo Cinema Militante di Torino iniziava la sua attività di controinformazione, con la produzione e distribuzione di materiale audiovisivo sulle lotte politiche e sociali di quegli anni. Nel marzo 1973, durante i giorni dell'occupazione della Fiat, furono realizzate molte ore di riprese. Cortei operai all'esterno della fabbrica, comizi, presidi ai cancelli, interviste a operai, impiegati e delegati sindacali. Parte di questo materiale è stato montato in un video-documentario di 30 minuti dal titolo Mirafiori '73, l'occupazione della Fiat. Tra le testimonianze anche quella di Riccardo Braghin, delegato sindacale, che in quei giorni aveva ventitré anni. A venti anni di distanza a Braghin rivede quelle immagini e le commenta. Si è pensato riutilizzando e rimontando il materiale girato nel marzo '73 di fare un nuovo video-documentario su quei giorni alla Fiat. Naturalmente non potrà più essere uno strumento di propaganda e di controinformazione come era stato all'epoca, ma il suo taglio dovrebbe aiutarci ad approfondire e ricordare un momento centrale, anche se difficile e complesso, della storia del movimento operaio e delle sue lotte. Per questo si ipotizza di “riprendere” in un'intervista filmata uno di quegli stessi operai che vent'anni fa erano stati intervistati durante quelle giornate di lotta. Realizzando così - attraverso - la sua memoria e testimonianza di protagonista di quell'occupazione - il “commento” di quei fatti e di quelle immagini del marzo 1973. Armando Ceste
Riccardo Braghin scompare nell’estate del 2005; il 15 novembre dello stesso anno è stata ricordata la sua esperienza in un’emozionante serata intitolata Memorie e Immagini di Riccardo Braghin, presso l'Hiroshima Mon Amour di Torino, attraverso le testimonianze dei suoi amici e compagni di lotta tra cui il critico Stefano Della Casa, lo scrittore Erri De Luca e il regista Armando Ceste. In quell'occasione è nata l'Associazione Riccardo Braghin, impegnata a portare avanti il suo ricordo, ma anche aperta a dialogare con realtà più giovani; dal 2012 l'associazione co-organizza insieme all'Associazione Museo Nazionale del Cinema il concorso cinematografico nazionale Lavori in Corto.